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«Possibilmente a titolo gratuito.»

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images«Possibilmente a titolo gratuito.»
 
L’altro ieri sulla metropolitana do un’occhiata a facebook e mi compare questa notizia: il “ministro per la salute” avrebbe esteso ai Creativi del Paese l’invito a collaborare con il “governo” per future campagne di comunicazione, possibilmente gratis, per non gravare su finanze che dovrebbero essere destinate a più nobili fini.
 
E no, non mi stupisco più di tanto. Già qualche tempo fa un “ministro per la cultura” aveva bandito un concorso per selezionare Musicisti disposti ad esibirsi gratuitamente durante le aperture serali dei musei. Probabilmente, andando a indagare, troverei altri episodi del genere.
 
Ripenso a tutte le volte che, quando avevo vent’anni, ho accettato di lavorare gratuitamente come giornalista. Perché “fa curriculum”. Perché “è un ottimo biglietto da visita” per trovare lavoro (…un ALTRO lavoro, ovviamente). Perché “pensa ai poveri bambini del Darfur, di che ti lamenti tu che hai tutto?”
 
Tutto questo sfruttamento, è vero, mi ha permesso di farmi conoscere, di rosicchiare altrove piccoli stipendi e infine di approdare come autore televisivo a Roma dove, prima di iniziare ad essere (sotto)pagata, ho lavorato (ma guarda un po’) a spese mie.
 
Questa cosa del lavoro “a titolo gratuito”, insomma, è una malattia ben radicata nel tessuto di questo Paese. Troverai sempre qualcuno interessato a farti credere che non vali niente, che tutti i lavoratori sono sostituibili, che se molli ci sarà qualcun altro più bravo di te pronto a prendere il tuo posto.
 
L’ultima volta che mi hanno proposto di lavorare gratuitamente è stato un paio di anni fa. Sì, insomma, avevo già superato ampiamente la trentina. Mando una email al capo megagalattico di un’importantissima testata nazionale chiedendo un appuntamento per proporre alcuni progetti: una rubrica a tema ed una serie di video-inchieste per il sito internet. Risposta: «Gli argomenti che mi proponi sono molto interessanti. Se vuoi ti apro la rubrica, ma considera che tutti i nostri giornalisti gestiscono spazi di questo genere esclusivamente a titolo gratuito. Per le video-inchieste, considera che ai collaboratori esterni non diamo più di duecento euro a pezzo, qualunque sia la complessità del lavoro.» (Nota bene: la produzione di una video-inchiesta tradizionalmente dovrebbe racchiudere il lavoro di almeno tre professionisti: il teleoperatore, il montatore e l’autore… e diciamocelo: ho sentito titolari di società di produzione giustamente bestemmiare per ore quando la RAI offriva solo 4.000 euro per l’acquisto di una video-inchiesta di dieci minuti…)
 
E allora, va bene, arrivederci e grazie.
 
Piuttosto, vado a suonare.
 
Ma prima, vorrei ricordare a questi signori una cosa. E questa cosa non è che “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.” Che, forse i direttori megagalattici anche no, ma almeno i “ministri” dovrebbero conoscerlo, l’articolo 36 della Costituzione.
 
Quello che vorrei ricordare a questi signori è che ogni essere umano è di per sé insostituibile. Che quando dicono a qualcuno “il tuo lavoro non vale niente” compiono un atto di violenza inaudita contro la dignità della persona. Che essere rappresentata da un “governo” che non lo capisce è angosciante.


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